Monday, June 4, 2007

Il mio mezzo trasloco

Sono a Boston! Home Sweet Home. E con questo viaggio in autobus (Ottawa-Boston) ho scientificamente provato che non riesco a fare un viaggio normale.
Ogni volta che viaggio, il programma è di viaggiare dal punto A al punto B nel modo più diretto, breve ed economico possibile. L'ultimo punto di questa lista però, fa si che il viaggio non sia sempre tanto breve.
Di solito le mie sventure si limitano a ritardi d'aereo (anche di piú di 24 ore, rigorosamente passate accampata all'aeroporto), al non potere salire sull'aereo e dover aspettare quello dopo, ecc. Questa volta, è toccato all'autobus!

Venerdì sera, sono partita da Ottawa carica come uno scerpa Nepalese: 3 valigie (piene e pesanti), uno zaino (con il mio computer personale e quello dell'ufficio) e una borsa. Qualcos'altro? Bè in realtà volevo portarmi la mia sedia da campeggio con bandiera canadese (pieghevole).... ma quel poco che mi restava di senso comune mi ha fatto optare per lasciare a casa il prezioso oggetto (vedi foto). Per fortuna la mia coinquilina Ungherese mi ha aiutata a portare tutto in stazione.
Una volta sull'autobus, già partiti per Montreal, la batteria dell'autobus inizia a dare qualche problema (dopo un semaforo in salita non riuscivamo a ripartire).
Arrivati a Montreal, scopriamo che il problema era della connessione della batteria all'accensione dell'autobus. Come l' abbiamo scoperto? Bè...l'autobus si è fermato, di nuovo, a pochi isolati dalla stazione degli autobus di Montreal, in salita. Quindi tutti i passeggeri, con l'accordo dell'autista, decidono di scendere dall'autobus e farsela a piedi. L'autista lascia per strada anche le mie tre valigie. Per fortuna, dopo una piccola supplica, riesco a convincerlo ad aiutarmi ad arrivare alla stazione... e quindi rimango l'unica passeggera sull'autobus e conosco questo autista Messicano, Jaime (o Javier?).

Jaime (o Javier... vabè, facciamo JJ) riesce a far ripartire l'autobus, ma scopre che non riuscirà comunque a portarmi alla stazione perchè le strade sono chiuse per una corsa di biciclette notturna (legge di Murphy: le sfighe non vengono mai da sole). JJ però ha una soluzione: mi porta fino al deposito degli autobus, dove parcheggia e poi mi porta in centro (mentre io facevo tutti gli scongiuri sperando che non fosse un pazzo-maniaco).

Altro che pazzo maniaco, JJ si è caricato tutti i miei bagagli sulla macchina per poi aiutarmi a portarli a piedi fino alla stazione degli autobus (dato che le strade erano chiuse per la famosa corsa di biciclette) e poi lasciarmi di fronte alla porta del mio prossimo imbarco (non tutte le sfighe vengono per nuocere: sono riuscita ad arrivare fino al secondo imbarco senza dover trovare modi strani per trascinare tre valigie - avendo solo due braccia come tutti voi - uno zaino del computer e una borsa).

Qui inizia la seconda parte dell'avventura...quella che ti fa sentire un clandestino ogni volta che si passa la frontiera degli Stati Uniti... bé, un clandestino o un barattolo nel supermercato, dipende dai momenti.

Il CLANDESTINO:
L'autobus da Montreal per Boston parte alle 11:15 di sera ed arriva verso la frontiera verso l'1.30 del mattino, quando tutti sono già in un sonno profondo (e con un gran torcicollo).
Ogni tanto c'è un conducente normale, altre volte c'è quello che si sente un pò un doganiere in un film di spionaggio (questa volta c’ è toccato quest’ultimo). Quindi si ferma, accende le luci e inizia a urlare... "siamo arrivati alla frontiera, aspettate sull'autobus che i doganieri ci dicano cosa dobbiamo fare -anche se ogni volta ci dicono la stessa cosa-, prendete tutti i vostri averi e scendete dall'autobus e fate la fila... più veloci sarete e più veloce sarà il nostro viaggio - il tutto detto in un tono urlato semi-serio semi-drammatico.
Questa situazione crea un bel pò di complicità tra i passeggeri dell'autobus, soprattutto quelli non americani e non canadesi (come me) che devono andare in una parte speciale dell'edificio per riempiere il famoso fogliettino verde dove ti chiedono di mettere una crocetta sul si se sei un terrorista o cose del genere. Sono interessanti tutte le storie dei passeggeri che per un motivo o per l'altro sono sempre nervosi al momento di passare la frontiera (includendo coloro che vengono in Canada per un giorno con la speranza di poi poter prolungare il soggiorno da "turisti" negli stati uniti (aka lavoratori in nero) (questa volta una ragazza di Harvard, con passaporto israeliano-australiano e che fa un lavoro interessantissimo).

BARATTOLO DA SUPERMERCATO
Quando si passa il primo controllo (per intenderci, quello dove ti chiedono tutti i fatti tuoi di fronte a tutti), i non-americans hanno il piacere di vedere un'altra stanza dell'edificio della dogana. Qui ti fanno aspettare (a seconda dei doganieri in funzione a quell'ora) in una stanza con una grande foto del Presidente Americano che sorride quasi con un ghigno di burla.

Qui passano il tuo passaporto per una macchinetta che legge il codice e lo trasmette al computer (prima sensazione da barattolo con codice a barre che viene passato alla cassa), una volta completato il famoso fogliettino verde, è il momento delle impronte digitali e della foto (che ogni volta appaiono sullo schermo del doganiere che immagino si farà delle gran risate con le espressioni delle persone a quell'ora della notte).

Finalmente riprendiamo il viaggio, si risale sull'autobus e si aspettano coloro che hanno avuto qualche problema in più alla frontiera (a volte capita che qualcuno debba scaricarsi le valigie perchè non l'hanno lasciato passare, ma fino adesso l'ho visto succedere solo una volta). L'autobus fa ancora altre fermate, ma io quasi non me ne accorgo: approfittando della mia statura de puffo un pò cresciutello riesco a raggomitolarmi su due sedili e dormire comodamente...fino alle 6h30 del mattino quando si arriva a Boston... uffa proprio quando iniziavo a dormire bene!
Un’altro viaggio da Italiana (barattolo-clandestino) con tre valigie e due laptop!

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